Sabato, 20 Giugno 2015 18:00

A tutti, non solo agli «uomini di buona
volontà»
- Raniero La Valle, 19.06.2015
L'enciclica Laudato si'.


C’è un debito estero dei Paesi poveri che non viene condonato, e anzi si è trasformato in uno strumento di controllo mediante cui i Paesi ricchi continuano a depredare e a tenere sotto scacco i Paesi
impoveriti, dice il papa (e la Grecia è lì a testimoniare per lui). Ma il “debito ecologico” che il Nord
ricco e dissipatore ha contratto nel tempo e soprattutto negli ultimi due secoli nei confronti del Sud
che è stato spogliato, nei confronti dei poveri cui è negata perfino l’acqua per bere e nei confronti
dell’intero pianeta avviato sempre più rapidamente al disastro ecologico, all’inabissamento delle
città costiere, alla devastazione delle biodiversità, non viene pagato, dice il papa ( e non c’è Troika
o Eurozona o Banca Mondiale che muova un dito per esigerlo).
La denuncia del papa («il mio appello», dice Francesco) non è generica e rituale, come quella di una
certa ecologia “superficiale ed apparente” che si limita a drammatizzare alcuni segni visibili di inquinamento e di degrado e magari si lancia nei nuovi affari dell’economia “verde”, ma è estremamente
circostanziata e precisa: essa arriva a lamentare che la desertificazione delle terre del Sud causata
dal vecchio colonialismo e dalle nuove multinazionali, provocando migrazioni di animali e vegetali
necessari al nutrimento, costringe all’esodo anche le popolazioni ivi residenti; e questi migranti, in
quanto vittime non di persecuzioni e guerre ma di una miseria aggravata dal degrado ambientale,
non sono riconosciuti e accolti come rifugiati, ma sbattuti sugli scogli di Ventimiglia o al di là di muri
che il mondo anche da poco approdato al privilegio si affretta ad alzare, come sta facendo l’Ungheria.
L’«appello» del papa giunge poi fino ad accusare che lo sfruttamento delle risorse dei Paesi colonizzati o abusati è stato tale che dalle loro miniere d’oro e di rame sono state prelevate le ricchezze
e in cambio si è lasciato loro l’inquinamento da mercurio e da diossido di zolfo serviti per
l’estrazione.
Questa enciclica rappresenta un salto di qualità nella riflessione sull’ambiente, si potrebbe dire che
apre una seconda fase nella elaborazione del discorso ecologico, così come accadde nel costituzionalismo quando dalla prima generazione dei diritti, quelli relativi alle libertà civili e politiche, si
passò alla considerazione dei diritti di seconda e terza generazione, sociali, economici, ambientali,
e cambiò il concetto stesso di democrazia.
Ora il discorso della giustizia sociale e della condizione dei poveri, a cui nei Paesi del Sud «l’accesso
alla proprietà dei beni e delle risorse per soddisfare le proprie necessità vitali è vietato da un
sistema di rapporti commerciali e di proprietà strutturalmente perversi», viene introdotto organicamente da papa Francesco nella questione ecologica, sicché essa non riguarda più semplicemente
l’ambiente fisico, il suolo, l’aria, l’acqua, le foreste, le altre specie viventi, ma assume la vita e il
destino di tutti gli esseri umani sulla terra, diventa un’«ecologia integrale», a cui è dedicato l’intero
capitolo quarto dell’enciclica: «Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale,
bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale», dice il papa; e la prima cosa da sapere, come
dicono i vescovi boliviani ma anche molte altre Chiese, è che i primi a essere colpiti da «quello che
sta succedendo alla nostra casa comune» sono i poveri. E il salto di qualità è anche nel rigore
dell’analisi, nella cura con cui vengono ricercate tutte le connessioni tra i diversi fenomeni ed ecosistemi, e anche nell’onestà con cui si dice che non tutto possiamo sapere, che la scienza deve fare
ancora un grande cammino, e che non si può presumere di prevedere gli sviluppi futuri, sicché il
principio di precauzione diventa un obbligo di saggezza e di rispetto per l’umanità di domani, contro
l’ideologia della ricerca immediata del profitto e dell’egoismo realizzato.
Si può capire allora come con questa enciclica che comincia con un cantico di san Francesco e finisce con una preghiera in forma di poesia, l’idillio del mondo ricco con papa Francesco sia finito.
«Tocca i cuori di quanti cercano solo vantaggi a spese dei poveri e della terra», dice il papa nella sua
preghiera. «Non occuparti di politica, perché l’ambiente è politica», gli dicono i ricchi. E mentre da
un lato quello che negli Stati Uniti non si fa chiamare Bush per riprendersi in famiglia il governo
dell’America dice che non si farà dettare la sua agenda dal papa, dall’altro quello che da noi pubblica sulle sue felpe messaggi di razzismo e di guerra dice che non c’è proprio di che essere perdonati per le porte chiuse in faccia ai profughi e tutti i «clandestini» vorrebbe metterli a Santa Marta.
«Questo papa piace troppo» diceva la destra più zelante, allarmata al vedere masse intere di persone
in tutto il mondo affascinate da un pensiero diverso dal pensiero unico. Però si faceva finta di niente,
sperando che la gente non capisse. Il papa diceva che l’attuale sistema non ha volto e fini veramente
umani, e stavano zitti. Diceva che questa economia uccide, e stavano zitti. Diceva che l’attuale
società, in cui il denaro governa (Marx diceva «il capitale») è fondata sull’esclusione e lo scarto di
milioni di persone, e stavano zitti. Diceva ai politici che erano corrotti, e stavano zitti. Diceva ai
disoccupati di lottare per il lavoro e ai poveri di lottare contro l’ingiustizia, e facevano il Jobs Act.
Ma con questa enciclica il gioco di far finta di non capire non sarà più possibile. Bisognerà stare
o dalla parte di Francesco o contro di lui, perché non sta facendo una predica, sta chiedendo una
scelta. E questo vale non solo per i politici, per gli opinionisti, per i giornali, vale anche per i vescovi,
per i cardinali. E vale anche per i semplici fedeli perché, scrive Francesco «dobbiamo riconoscere
che alcuni cristiani impegnati e dediti alla preghiera, con il pretesto del realismo e della pragmaticità, spesso si fanno beffe delle preoccupazioni per l’ambiente».
Quello che infatti da Francesco è posto davanti al mondo è il problema vero: «il grido della terra»
è anche il «grido dei poveri», ma nel monito che si leva dai poveri perché la loro vita non vada perduta, c’è un monito che riguarda tutti, perché senza un rimedio, senza un cambiamento, senza
un’assunzione di responsabilità universale la vita di tutti sarà perduta.
Ed è per questo che l’enciclica di papa Francesco è rivolta a «ogni persona che abita questo
pianeta»: non ai cattolici, e nemmeno agli «uomini di buona volontà», come faceva la «Pacem in terris» di Giovanni XXIII, in cui si poteva sospettare ancora un residuo di esclusione, nei confronti di
qualcuno che eventualmente fosse di volontà non buona. Qui papa Francesco abbraccia veramente
tutti (come ne sono figura essenzialissima per il cristiano le braccia di Cristo aperte sulla croce) e si
pone non come capo di una Chiesa, e nemmeno come profeta dei credenti, ma come padre della
intera umanità. Perché il messaggio è il seguente: non questa o quella Potenza o Istituzione, non
questo o quello Stato, non quel partito o movimento, ma solo l’unità umana, solo la intera famiglia
umana giuridicamente costituita e agente come soggetto politico può prendere in mano la terra
e assicurarne la vita per l’attuale e le prossime generazioni.
© 2015 IL NUOVO MANIFESTO SOCIETÀ COOP. EDITRICE